Nel 1826 gli scavi archeologici al tempio romano di Brescia, condotti dai membri dell’Ateneo di Scienze Lettere e Arti e supportati da una sottoscrizione pubblica procedevano ormai da diversi mesi, in un clima di grande soddisfazione per la scoperta del Capitolium e di alcuni suoi arredi.
Il 20 luglio, tra il muro di una delle grandi aule del tempio e il colle stesso, venne scoperto un insieme di bronzi straordinari per bellezza e per quantità.
Primo tra tutti una statua poco più grande del vero di una figura femminile, con le braccia staccate e poste lungo i fianchi.
La statua era protetta da almeno 85 cornici in bronzo lavorate; vicino alla testa furono ritrovate due grandi ali, una sopra l’altra, mentre lungo il fianco e vicino ai piedi erano riposte cinque teste, ritratti di imperatori romani, una statua più piccola in bronzo dorato e il pettorale di una statua equestre.
Il giorno seguente si procedette all’estrazione delle opere dal terreno. Alla presenza dell’archeologo Luigi Basiletti, venne prelevata per prima la grande statua della Vittoria, dal cui interno fuoriuscirono altre cornici e si scoprirono così molti altri bronzi: una testa femminile, il braccio di un’altra statua, un altro pettorale di cavallo, altre cornici e oggetti più piccoli e di difficile interpretazione.
La statua in bronzo della Vittoria alata è per composizione, conservazione e materiale una delle opere più rappresentative dell’arte romana. Nel bronzo è riprodotta una figura femminile alata, alta poco meno di due metri (cm 194), con una postura oggi incompleta per la perdita di alcuni elementi che ne completavano il gesto e la posizione di equilibrio; il piede sinistro doveva poggiare molto probabilmente sull’elmo di Marte, il braccio sinistro doveva trattenere uno scudo, sostenuto anche dalla gamba flessa, scudo sul quale, con uno stilo, la divinità aveva inciso il nome del vincitore, affidandolo al bronzo e offrendolo alla vista di chi la guardava.
A contatto con il corpo è riprodotto un chitone leggero, trattenuto in alto forse da due fermagli, oggi perduti; la veste è scesa sulla spalla destra e lascia scoperto anche il seno, mentre sul resto del busto aderisce con un effetto quasi di bagnato. La parte inferiore del corpo è coperta da un himation, di aspetto e di volume più pesanti, che si avvolge intorno alle gambe e ai fianchi da sinistra verso destra, caratterizzando con questo andamento il tipo statuario.
Il volto presenta due lamine metalliche che chiudono le orbite, probabilmente inserite poco dopo la scoperta, a risarcire i vuoti degli occhi originali andati perduti; i capelli, acconciati con una sorta di chignon, sono trattenuti da una fascia illuminata da agemine in argento, che riproducono foglie probabilmente di mirto e rosette. In alcune zone delle parti anatomiche non coperte dagli abiti si intravedono tracce di doratura, trattamento forse riservato all’epidermide. Completano la figura due ampie ali caratterizzate da lunghe piume, pressoché bidimensionali nella parte inferiore e più plastiche nella parte alta.
Notabili e uomini di scienza assistettero all’evento, tra i quali Antonio Sabatti, il conte Gaetano Maggi e l’impresario degli scavi Gianbattista Pietroboni. Della sensazionale scoperta venne data notizia alla Congregazione Municipale, che la sera stessa si recò in visita al Capitolium. Parteciparono anche il presidente dell’Ateneo, Girolamo Monti, il Podestà di Brescia, Conte Giovanni Calini, assessori e membri della commissione degli scavi. Nel verbale si menziona “una statua muliebre […] avvolta in panni maestrevolmente scherzati”.
Nel frattempo, circolata la notizia del ritrovamento, iniziarono ad accorrere numerose persone. Le autorità, sia per motivi di sicurezza, che per permettere al maggior numero possibile di persone di vedere lo straordinario rinvenimento, decisero di trasferire i bronzi “con qualche festevole formalità” nell’aula del Ginnasio Convitto Peroni, nell’ex Convento di san Domenico, che da qualche tempo ospitava iscrizioni e antichità relative alla città.
Il 22 luglio, tra le vie della città, mentre le campane suonavano a festa, sfilò un insolito e festante corteo: tra ali di folla plaudente, il podestà precedeva il carro con la statua della Vittoria esposta in piedi, seguito dalla banda militare, dai membri della Congregazione Municipale e dai Commissari agli scavi. La folla acclamante accompagnò il corteo fino all’ex Convento di san Domenico, dove i bronzi sarebbero rimasti fino alla fine del mese.
La notizia del ritrovamento rimbalzò su molti giornali, anche stranieri.
In Francia il bronzo fu oggetto di notevole attenzione, fin dalle prime cronache redatte per il «Journal général de la littérature étrangère» (Paris, 1827). La Vittoria di Brescia salì così al centro della ribalta internazionale: visite illustri, riproduzioni in ogni dimensione e materiale, copie fedeli iniziarono a essere richieste in ogni angolo del mondo.
Napoleone III (1848-1870), ospite a Brescia nel giugno 1859 prima della battaglia di Solferino, volle visitare il Museo Patrio e rimase così colpito dalla bellezza della statua che chiese di poterne avere una copia, ora visibile presso il museo del Louvre. Grato per l’omaggio bresciano, l’imperatore donò alla città due monumentali vasi in porcellana di Sèvres, che riportano i ritratti ufficiali di Napoleone III e della consorte e che oggi fanno parte delle collezioni civiche.
In seguito molti visitatori e studiosi vennero ad ammirare la statua, che ispirò numerose produzioni poetiche, come quella di Giulio Tartarino Caprioli che scrisse “O cara imago, or che tu riedi al giorno – Deh! Faccian teco i lieti dì ritorno”. Giosuè Carducci la cantò nel componimento Alla Vittoria, scritto nel 1877 e inserito nelle Odi barbare, mentre Gabriele D’Annunzio, profondamente affascinato dalla statua, la celebrò spesso nella sua opera e ne richiese allo scultore Renato Brozzi una copia (1934), ancora oggi esposta al Vittoriale di Gardone Riviera.
In alcune fotografie d’epoca si può osservare la Vittoria nel Capitolium con un elmo coricato sotto il piede sinistro e un ampio scudo rotondo tra le mani. Si tratta di alcune integrazioni filologiche, verosimilmente in gesso, suggerite dallo studioso Giovanni Labus e inserite nella statua probabilmente nel 1838.
In occasione della Prima Guerra Mondiale, la Vittoria Alata venne ricoverata a Roma in quanto ritenuta un simbolo nazionale e durante la Seconda Guerra Mondiale, a partire dal 13 giugno 1940, durante un allarme aereo, venne portata a Villa Fenaroli a Seniga, a sud di Brescia, dove il Comune aveva costituito un deposito protetto dedicato alle opere d’arte. Al termine della guerra la statua tornò a Brescia, per poi essere accolta nelle nuove sale del Museo Romano, ricavate al di sopra del tempio romano.
Dal giugno 1998 la Vittoria Alata è stata esposta nel Museo di Santa Giulia, all’interno della sezione dedicata all’età romana, accompagnata dagli altri numerosi oggetti di bronzo che furono ritrovati assieme a lei nel 1826 durante gli scavi del tempio capitolino.
L’11 luglio 2018 la Vittoria Alata è stata affidata agli esperti dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze per un complesso progetto di restauro. Questo intervento, accompagnato da accurate indagini scientifiche e dalla realizzazione di un nuovo supporto interno a sostegno di ali e braccia, è coronato dal nuovo allestimento della statua all’interno della cella orientale del Capitolium. Il riallestimento, curato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg, colloca nuovamente la Vittoria in prossimità del luogo dove è stata rinvenuta ed è accompagnato nel 2020-2022 da una serie di iniziative che celebreranno il ritorno della statua a Brescia.
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